Ci sarà ancora bisogno di biblioteche sociali?

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In questi strani giorni, ormai settimane, in cui il mondo è sospeso in attesa di capire quando e se si potrà tornare alla normalità (ammesso che esista ancora tale normalità), abbiamo sentito diverse persone della rete dei Laboratori Bibliosociali. Quel senso di colleganza, che da più parti riemerge e si auspica, si è fatto vivo anche tra chi, in questi anni, si è incontrato e reincontrato, si è interrogato e ha scritto sul futuro dei servizi socioculturali, in particolare quello delle biblioteche pubbliche.

Tra un aggiornamento sull’emergenza in corso e sui vari vissuti personali per riconfigurare la propria quotidianità ad un nuovo modo di intendere il lavoro, le relazioni e la vita, si è presto fatta viva una domanda: ma quando tutto questo finirà ci sarà ancora bisogno delle nostre riflessioni?

Ci sarà ancora bisogno di incubatori di comunità?

Ci sarà ancora bisogno, o meglio desiderio, di “biblioteche sociali”?

Domande non banali che ci interrogano in profondità rispetto ad uno scenario che non sappiamo ma che, giorno dopo giorno, riusciamo sempre di più a intravedere, immaginare, prefigurare. E lo scenario che ad oggi possiamo mettere insieme ci parla di un paese profondamente ferito a tanti livelli ma soprattutto interrogato in modo doloroso rispetto al senso dell’esistenza, all’ordine delle priorità, al tipo di mondo che vorremmo. Lo vediamo e lo ascoltiamo già nei nostri scambi telefonici e in modalità telematica quanto il tema delle relazioni si stia facendo forte: ci mancano gli affetti più cari, ma ci manca l’incontro, la socialità, la comunità. E soprattutto ci manca quell’idea di incontro, socialità e comunità come sta emergendo dai nostri nuovi pensieri in quarantena, un’idea che ad oggi non ci permette di accettare  un semplice ritorno a ciò che c’era prima. Immaginiamo un paese, ma forse è meglio dire un mondo, dove i livelli di fragilità cresceranno, e probabilmente anche in forme che ad oggi non conosciamo, ai quali nessun servizio sociosanitario sarà in grado di far fronte, nessuna erogazione governativa sarà sufficiente. Già lo abbiamo visto dopo la crisi post Lehman Brothers quanto tutto ciò sia stato evidente. La sfida post Coronavirus probabilmente non sarà inferiore.

Quante persone poi in questa fase hanno riscoperto il valore del tempo, del tempo di qualità, del rallentare, dell’assaporare l’arte, la lettura, la scrittura; quante persone hanno riscoperto come questo mondo richieda di apprendere continuamente, di avere quelle competenze che permettono di riadattarsi anche a grandi shock; quante persone si sono rese conto dell’importanza dei beni comuni, di servizi costruiti da tutti e messi a disposizione di tutti: in questo senso il bene comune della sanità pubblica ci ha fatto molto riflettere.

Ci siamo quindi risposti che sì, certamente, ci sarà assoluto bisogno di biblioteche sociali. E, azzardiamo che, probabilmente, ce ne sarà ancora più bisogno. Se prima si poteva pensare a luoghi e spazi con queste caratteristiche come qualcosa di utile, ora si dovrà connotarlo con l’aggettivo essenziale. Non perché lo diciamo noi, ma perché lo dicono i numeri, lo dicono le ricerche, lo dicono sociologi, psicologi, filosofi e antropologi: dobbiamo ricostruire certe condizioni nei territori per vivere bene, per rigenerare senso di comunità, legami, futuro.

Siamo grandi sognatori, come sempre. Tutta la nostra avventura e la nostra riflessione è un sogno, un’utopia, o meglio un co-topia perché l’abbiamo sempre pensata come il frutto di processo collettivo, con quel movimento lento ma inesorabile: dal basso, insieme.

Dobbiamo però guardare con freddezza alla realtà. E la realtà già in queste settimane ci ha parlato schiettamente facendoci rivedere, se mai ce ne fosse davvero bisogno, quali siano le priorità nel nostro paese. E decisamente il comparto legato alla cultura è stato uno dei primi a fermarsi, uno dei primi dove non c’è stata così tanta tensione o dubbi nel rallentare e stoppare i motori. Siamo impastati dentro una visione della vita che ruota intorno al dato economico e dimentica quanto valore c’è dietro alla lenta e silenziosa tessitura relazionale e di senso che avviene in una biblioteca o, ci piace chiamarlo così, un incubatore di comunità che tiene insieme la dimensione sociale e culturale. Ma anche il mondo dell’aggregazione si è presto sfaldato nel suo essere connaturato al bisogno di assembrarsi, di stringersi la mano, di parlarsi, di stare più vicini di un metro.

Non si poteva fare altrimenti, lo sappiamo. Riflettevamo semplicemente sul processo al quale abbiamo assistito, al suo valore simbolico che denota quanto sia difficile oggi bilanciare le scelte politiche e strategiche tra tante dimensioni, non solo quella economica, perché non è e non sarà mai l’unica variabile a dare spessore e significato alla vita. E ce ne stiamo già accorgendo: ogni persona è fatta di tante parti che hanno bisogno di restare il più possibile in equilibrio.

Ci siamo chiesti perché chiudere le biblioteche pubbliche in questo momento. Se non sarebbero invece state isole di ossigeno per tanti, occasioni di crescita, presidio di comunità pur dentro le restrizioni necessarie, ponte tra l’emergenza e la nuova costruzione di futuro.

Dobbiamo quindi essere consapevoli che continuare a proporre le nostre riflessioni sarà più difficile. Molti guarderanno ai Laboratori Bibliosociali come una proposta fuori dal tempo, non commisurata alla situazione. Ci vorrà un lavoro supplementare per mettere in evidenza quella ricchezza intangibile e immateriale di questi luoghi, di questi servizi, di questi spazi, di questi beni comuni. Ma abbiamo visto molto bene in queste settimane cosa può fare ciò che non si vede, ciò che è intangibile e immateriale! Per questo continuiamo a progettare, a guardare avanti, convinti che tutto ciò che ci sta accadendo sarà una grande sfida e una grande occasione per il futuro delle biblioteche e dei nostri spazi di vita.

E’ retorica? No, semplicemente non possiamo davvero fare altrimenti.

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