Interrogare i desideri. Un cambio di prospettiva nei servizi socio-culturali

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Uno degli spostamenti semantici proposto dalla riflessione dei Laboratori Bibliosociali è quello dai bisogni ai desideri. Un cambio di parola che attira, intriga e incuriosisce e che ha in sé un’articolazione assolutamente non evidente.

Nella giornata formativa del 29 novembre presso la Biblioteca civica di Brugherio abbiamo approfondito questo slittamento lessicale attraverso un momento di confronto e formazione attiva che ha coinvolto una trentina di bibliotecari della zona.

I limiti di una logica di risposta

La dimensione dei bisogni è connaturata alla struttura dei servizi, specie quelli di natura pubblica. Porsi cioè in una logica di risposta – di fronte alle richieste degli utenti, a ciò che essi sentono o manifestano come necessità – è una sorta di mission accolta e portata avanti sia dagli operatori sia dai cittadini, pur nei suoi vincoli e difficoltà degli ultimi tempi.

Parlare di bisogni, però, ha in sé una serie di limiti, che spesso non vediamo e che in qualche modo bloccano le possibilità di ingaggiare i cittadini, di essere trasformativi, di creare le condizioni per una reale partecipazione del territorio.

Attraverso il confronto con la dimensione del desiderio, possiamo provare a indagare le differenze e cogliere le potenzialità insite in un cambiamento di prospettiva che parte dalle parole per giungere ad azioni concrete.

L’attenzione ai bisogni conduce a una visione chiusa e passivizzante

Quando ragioniamo di bisogni, stiamo ponendo l’attenzione alla fisicità di alcune necessità, spesso legate a oggetti. I bisogni richiamano un meccanismo di stimolo-risposta che pone la persona in una posizione tendenzialmente passiva e passivizzante, che richiama più l’idea di suddito che non di cittadini, che si trova più in un processo subìto che non promosso e soprattutto genera una visione tendenzialmente individuale e isolata.

Nella dimensione del bisogno vi è una visione chiusa, impellente, dove emerge una richiesta forte, immediata, dove si stagliano attese e aspettative di soddisfazione. Attese e aspettative che spesso non possono essere soddisfatte se non attraverso surrogati o palliativi.

Parlare di bisogni ci stringe dentro dei vincoli, quelli legati ai problemi, quelli che aprono domande sul che cosa mi serve senza andare oltre, senza cercare nulla più in profondità.

L’avvicinamento ai desideri apre al possibile e all’attivazione

Quando proviamo ad avvicinarci a una logica più improntata verso il desiderio, spostiamo decisamente l’asse dei significati. Con i desideri andiamo oltre la fisicità, abbracciamo una dimensione che travalica l’esistente per aprirsi al possibile. Ci lanciamo all’interno di un processo imprevedibile anziché dentro un meccanismo codificato, processo che richiama la necessità di agire, di essere soggetti attivi e attivanti. Ci spostiamo, cioè, verso una dimensione maggiormente incentrata sulla relazione rispetto all’individuo, più orientata alla creatività, al costruire sguardi di prospettiva e costruire qualcosa di nuovo.

Nel desiderio si animano aspirazione e progettualità, si incarna la possibilità della proposta. I vincoli sfumano perché si costruisce una dimensione quasi ideale verso cui tendere e soprattutto verso cui agire l’identità di cittadino di una comunità, non di utilizzatore di servizi.

Il desiderio, quindi, sposta lo sguardo verso le risorse esistenti, risponde alle domande sul perché vogliamo e facciamo qualcosa, si smarca dall’immediatezza della soddisfazione per aprirsi a percorsi nel tempo che non accettano palliativi ma vanno al senso delle cose.

Seguire la logica del desiderio apre alla costruzione di “stelle polari”, ad aspirazioni che aprono alla costruzione di futuro e soprattutto a una logica di servizio che dialoga con il cittadino.

Un dialogo che naturalmente necessita di altre formule, di appositi dispositivi, di altri tempi e processi, di altre competenze e attenzioni.

Riformulazioni per costruire la biblioteca di domani

Una trasformazione che si lega strettamente agli altri slittamenti di significato che i Laboratori Bibliosociali hanno costruito in questi anni: quelli che propongono di passare da utenti a cittadini e da servizi a incubatori di comunità. Il rimettere maggiormente al centro le persone rispetto ai libri, pur riconoscendo la fondamentale centralità della mission delle biblioteche ovvero la mediazione informativa e l’apprendimento continuo.

Passiamo così dai bisogni di silenzio, di punti ristoro, di maggiori materiali, di svago a desideri di biblioteche dove ripensare la relazione tra biblioteca e città, migliorare la qualità della vita delle persone dando dignità e cittadinanza a tutti: ci si prospetta in questo modo una biblioteca senza mura, in viaggio, permeabile, un ambiente contaminante.

C’è una forte differenza nell’energia che rimandano queste diverse formulazioni.

Non è solo un gioco di parole, anzi sappiamo molto bene quanto proprio la parola sia dotata di una enorme capacità trasformativa.

Processi di cambiamento e di ricerca verso desideri condivisi

In questa proposta lessicale vediamo una enorme potenzialità per liberare energie, motivazioni e aspirazioni anche di chi lavora in biblioteca e sente intimamente di volere qualcosa di più, di avere uno slancio nuovo, di cercare aria fresca nella propria quotidianità, che rischia altrimenti di inaridirsi nel consueto, nel meccanico, nella fatica, nella perdita di senso in quello che facciamo.

Certo, come tutte le trasformazioni non si tratta di processi semplici e indolori: aprono a una messa in crisi di abitudini consolidate, alla ricerca e all’acquisizione di nuovi strumenti e pratiche, alla cessione di potere, alla digestione di buone dosi di ansia e imprevedibilità. Il nostro tempo ci chiede sempre di più questo passaggio e lo fa ponendoci problemi complessi che non possiamo più gestire con le logiche consolidate portate avanti fino a oggi.

Il percorso dei Laboratori Bibliosociali parte proprio da questa situazione: guardare alla realtà, accoglierla, agire per trasformarla e trasformarsi, farlo con dei compagni di viaggio, con piccole comunità alle prese con le medesime sfide ma anche con i medesimi desideri.

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