SECONDO SPOSTAMENTO PER LA FORMAZIONE: DALL’INTERVENIRE AL RIFLETTERE

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Prosegue la riflessione sulla formazione all’interno dei laboratori. Qui potete trovare l’articolo introduttivo e il primo spostamento proposto.

Di seguito illustriamo il secondo spostamento: dall’intervenire al riflettere.

Altro elemento che dobbiamo aspettarci ci tornerà presto familiare e che va di pari passo col precedente (passare dai contenuti alla relazione) è il bisogno di curare i processi di riflessione e auto-riflessione degli operatori. Risulta imprescindibile costruire dei contesti strutturali nel lavoro dove poter aprire questi spazi di riflessione sulla propria pratica quotidiana, sulle azioni messe in campo nel continuo essere sollecitati da situazioni che richiedono scelte, complesse interpretazioni, faticosi processi di conoscenza. Oggi siamo ben lontani da questa meta, da tanti condivisa e spesso disattesa a fronte della compressione degli orari di lavoro disponibili, nella logica del massimo ribasso degli appalti, ma anche nella fatica che richiede la gestione e la partecipazione a momenti di riflessione e auto-riflessione.

Diciamo pure che si tratta ancora di un ambito di lavoro sul quale ci sono grandi margini di miglioramento e che proprio la difficoltà di farli funzionare spesso crea una inefficacia che mina alla base lo sviluppo di tale pratica. Ma fin quando i momenti di autoriflessività verranno considerati dei lussi facoltativi, eccezioni alla regola, surplus di cui si può benissimo far a meno; fino a quando gli orari di lavoro saranno definiti quasi esclusivamente in front-office, con un back-office che è più manutenzione degli spazi e dei materiali che non delle persone; fino a quando ciò avverrà faremo poca strada nei nostri contesti lavorativi che saranno invece sempre più bisognosi di questa possibilità di rifare il punto per non bruciare gli operatori o renderli insensibili alla relazione con i cittadini.

Molto probabilmente una delle criticità più forti ad abbracciare la prospettiva cosiddetta sociale nelle biblioteche ha a che fare proprio con questa disabitudine a lavorare tenendo la centralità della dimensione riflessiva, la cui mancanza produce resistenze spesso inconsapevoli nelle motivazioni e nelle profonde implicazioni.

I processi che hanno a che fare con le persone e a maggior ragione con i gruppi e le comunità richiedono una forte dose di spazi di pensiero e di manutenzione del pensiero. Spesso ci dimentichiamo che pensare è un’azione relazionale: pensiamo nella misura in cui entriamo in relazione con altro e con altri. Senza pensiero l’azione sulle relazioni umane diventa velocemente insensata e intollerabile.

Non stupiscono quindi i continui rimandi ad un mandato lavorativo diverso, al bisogno di delegare ad altri professionisti compiti più spiccatamente legati alla gestione delle persone e dei gruppi. Più volte abbiamo sottolineato quanto sia importante in tutti i servizi e quindi anche nelle biblioteche un approccio multiprofessionale con equipe variegate. Abbiamo anche ribadito in varie occasioni quanto la funzione sociale della biblioteca non significhi chiedere ad un bibliotecario di fare l’assistente sociale, il poliziotto o lo psicologo e abbandonare o abdicare alla propria vocazione di mediazione informativa. Ma stiamo parlando d’altro: della modalità con la quale si approccia la realtà, con la consapevolezza che tutti gli operatori chiamati in causa oggi abbiano bisogno di ricollocarsi rispetto ad essa, di guardarla e riguardarla continuamente per quella che è modificando per forza di cosa le proprie abitudini e i propri strumenti di lavoro.

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